Opinioni e Prospettive

In riferimento ad alcuni articoli a sfondo sociologico (specie per quel che riguarda il campo di indagine relativo ai Mass Media), si precisa che i contenuti pubblicati NON sono da intendersi come frutto di specifiche indagini o di studi operati ad hoc (salvo quando diversamente e appositamente riportato). A tal riguardo si specifica che si tratta di semplici opinioni, basate sulla personale osservazione, nata da una prospettiva sociologica sviluppata negli anni di studio e connaturata negli interessi e nello stile di scrittura dell'autore.

mercoledì 8 maggio 2013

L'Android-Era, l'annullamento del continuum spazio-tempo e cosa rischiamo di diventare.


Ci siamo mai chiesti che senso ha avere la chiara dimensione e percezione del luogo in cui ci troviamo? Ci siamo mai posti il problema di capire che relazione c’è tra noi e il luogo che stiamo occupando in un dato momento?
Probabilmente la risposta è no, data la frequenza con la quale ci spostiamo da un luogo ad un altro, senza prestare un’attenzione maggiore di quella dovuta al momento specifico.
Solo in momenti in cui si destabilizza il fragile equilibrio dettato dal luogo comune per cui ogni spazio ha una funzione specifica e ben circoscritta, solo quando qualcosa o qualcuno interrompe il flusso veloce delle relazioni che in un dato luogo si realizzano comunemente e ripetitivamente, accade di interrogarsi. Il massimo che facciamo, però, è cercar di capire chi o che cosa è “fuori luogo” e perché.
Il logorìo delle relazioni che stabiliamo con gli spazi che frequentiamo parte dalla frenesia, per arrivare alla realizzazione del “non-luogo”;
inizialmente la relazione che stabiliamo con i luoghi che frequentiamo è pressoché psichedelica, dura il tempo necessario ad assolvere ad una data funzione, dopodiché tutto si spegne. E questo può spiegarsi con la velocità con cui siamo costretti (o costringiamo noi stessi) a vivere le nostre giornate.
Successivamente, però, alla frenesia dettata dalle varie cose che abbiamo da fare, a mano a mano che prendiamo padronanza dei compiti che ci spettano ogni giorno, si sostituiscono le scorciatoie che attiviamo ogni volta che ci è possibile. E riusciamo a vivere la nostra vita anche in luoghi lontani da noi, addirittura inesistenti, virtuali, nei quali si generano le stesse conseguenze che si genererebbero nello stesso istante, se noi fossimo fisicamente presenti. Provate anche solo a pensare a quello che accade, ordinando una pizza attraverso la pagina facebook della pizzeria, dopo averla rapidamente scelta attraverso il menu “on-line”.
Il problema è che, però, noi non possiamo prescindere dalla relazione che fisicamente abbiamo, sia con il tempo, sia con lo spazio, perché sono coordinate insite alla nostra stessa condizione umana.
Nonostante ciò, siamo oggi nella possibilità di dominare entrambe le coordinate…o almeno questo è quanto a noi sembra di riuscire a fare.
Avete mai provato a vedere quanto riuscite a resistere fermi in uno stesso luogo, senza voler scappar via dopo i primi minuti necessari per capire cosa potreste fare o cosa avete anche terminato di fare? Pensate ad una chiesa per esempio o ad una sala riunioni o semplicemente passeggiando lentamente lungo una strada. Dopo qualche minuto Vi prende una irrefrenabile voglia di andar via o di fare altro, se in quel dato momento non riuscite a percepire subito una ragione secondo Voi valida.
Non pensereste mai, nell’immediato, che la ragione valida per “restare” in un dato luogo possa essere, semplicemente, quella di metabolizzare la relazione che Voi stessi avete con quel luogo specifico. A meno che non siate stati Voi stessi a decidere di fermarVi a indagare su questa cosa. Pensate a quando Vi capita di entrare in una chiesa: se lo fate per così dire “incidentalmente” (magari per far compagnia ad un amico che Ve lo chiede) è un conto; dopo un po’ non vedrete l’ora di scappar via. Altro però è se siete appassionati di arte e siete Voi, in un dato momento, a decidere di recarVi ad osservare gli affreschi sulle pareti.
Badate, ciò di cui parlo non è collegato a quanto accade in conseguenza dei nostri desideri, ma a quanto accade in conseguenza delle decisioni che prendiamo frequentemente e meccanicamente, senza più farci caso, data la routine a cui siamo ormai assuefatti. Postulando, perciò, una distanza tra i nostri desideri e le nostre decisioni, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Tutto questo per dire che non sempre accorciare le distanze migliora la qualità della nostra vita. A qualcuno sembrerà una colossale ovvietà, ma sono convinto che non tutti ci fanno caso. Ed è per gli altri che scrivo.
Una volta da ragazzi, noi stabilivamo una relazione particolare con la nostra cameretta, qualcosa di intimo, di privato, quasi di…“sacro e inviolabile”. Oggi un ragazzo non ne sente più il bisogno, perché la propria…“intimità” è racchiusa nei gb del proprio i-phone con tutte le funzioni che possiede.
La relazione che oggi si stabilisce con lo spazio, è dannatamente “virtuale”: dannatamente perché diventa reale nelle conseguenze finali che alla lunga prendono il sopravvento sul piano valoriale, rispetto al “percorso” necessario per raggiungerle.
Un ragazzo gestisce la relazione tra se stesso e la propria stanza in chat, piuttosto che con la propria piattaforma facebook, oppure su un blog. Col vantaggio (apparente) di poterlo fare in qualunque momento, entrando e uscendo dai suoi spazi, tutte le volte che lo dovesse decidere.
Non è vero che è un vantaggio.
Quando ero ragazzo, in camera ci restavo a fare i compiti, oppure quando ero malato. Per qualcuno “rimanere in camera propria” poteva anche rappresentare una punizione. Oppure ci si restava per non ascoltare i discorsi dei “grandi” in salotto…i tempi di permanenza in un luogo erano dettati da regole che erano collegate con singoli momenti di vita e che aiutavano a scandire gli stessi momenti e ad assaporarne il significato e a metabolizzare certi valori che anche così passavano all’interno dell’educazione e della formazione personale.
Praticamente spazio e tempo erano due coordinate che ci accompagnavano “insieme”. Ed insieme ci davano la possibilità di interiorizzare le relazioni che stabilivamo sia con le persone, sia con i ruoli che esse ricoprivano, sia con la nostra “posizione” all’interno di ogni singolo contesto.
Andare a separare spazio e tempo fino al punto di avere l’illusione di riuscire a fare a meno di entrambi, adesso, determina una confusione di momenti, di ruoli e anche di personalità, alla quale è molto difficile porre rimedio. Anche perché sul piano percettivo non si sente il bisogno di rimediare a nulla.
Sul piano percettivo il luogo si confonde con il non-luogo, quello virtuale. Ed è quest’ultimo ad essere preferito, perché è quello dietro il quale ci si può nascondere a piacimento, “senza correre il rischio di esporsi”. Possiamo essere chiunque dietro a un monitor o a un piccolo lcd, non dobbiamo “preoccuparci di dover necessariamente apparire credibili”. Questo ci pone di fronte alla prospettiva di poter mentire e di non doverci necessariamente assumere certe responsabilità, con la certezza di uscirne impuniti.
Fortunatamente anche le comunità “virtuali” stanno affinando le proprie regole di comportamento, ma non è la sostanza che cambia.
Oltretutto, la possibilità di arrivare ovunque e in qualunque momento, ci priva della possibilità di “vivere” il percorso, il “passo-dopo-passo”, le difficoltà insite nella strada che ci porta da una parte all’altra, da un momento all’altro. Regalandoci, di contro, l’illusione di poter “viaggiare” senza alcuna difficoltà. E siccome inevitabilmente ci tocca poi scontrarci con la realtà (almeno finché il teletrasporto non diventi cosa concreta e comune), la disabitudine a gestire certe difficoltà, ad assaporare i singoli momenti e i singoli spazi, a lasciarceli “vivere” dentro, ci rende degli androidi molto simili a quelli dei nostri smartphone, senza capacità di gestire la nostra emotività, i nostri sentimenti. Il ché non vuol dire annullare sentimenti e emozioni, ma essere incapaci di gestirli.