Opinioni e Prospettive

In riferimento ad alcuni articoli a sfondo sociologico (specie per quel che riguarda il campo di indagine relativo ai Mass Media), si precisa che i contenuti pubblicati NON sono da intendersi come frutto di specifiche indagini o di studi operati ad hoc (salvo quando diversamente e appositamente riportato). A tal riguardo si specifica che si tratta di semplici opinioni, basate sulla personale osservazione, nata da una prospettiva sociologica sviluppata negli anni di studio e connaturata negli interessi e nello stile di scrittura dell'autore.

venerdì 3 aprile 2015

Sindrome da iperconnessione: quando il web diventa una malattia

Foto tratta da www.qnm.it
Secondo uno studio americano, il 7% della popolazione si serve dei cosiddetti "smartphone" per collegarsi ad internet, in mancanza della banda larga. Ma dato che l'obiettivo è raggiungere la Grande Rete, il discorso si sposta ad una dimensione più generica; per quanto l'Ansa (di cui al link sopra citato) titoli ieri sulla dipendenza da smartphone, ciò che sembra creare una vera e pericolosa dipendenza, è proprio il web. Troppo sottovalutato, se lo si vede in questa chiave. Vero è che la regola aurea è sempre quella di utilizzare le cose con un minimo di buon senso, perché non è l'oggetto il male in sé, ma l'utilizzo che se ne fa (si è sempre detto altrettanto della TV, sulla quale gli studi sono più consolidati). L'iperconnessione, con buona pace dello studio USA, rappresenta una vera e propria malattia di natura sociale che abbraccia tutte le fasce d'età e di reddito, tanto che la cosa ha spinto il magazine di "lifestyle" QNM (in un interessante articolo pubblicato ieri da Gianluca Rini) ad individuarne i sintomi e a indicare una traccia per le eventuali cure. Ne risulta un invito importantissimo a non sottovalutare la dipendenza da internet, né di per se stessa, né per gli effetti devastanti che può avere a livello psicologico e nemmeno per le pericolose dinamiche sociali che può produrre. Per gli adulti si potrebbe parlare di malattia professionale, se il WEB è strumento di lavoro, ma la maggiore attenzione andrebbe posta su quelli che "il Fatto Quotidiano" definisce (con un termine tanto aberrante quanto realistico) i "nativi digitali", in un articolo della fine dello scorso febbraio. Parliamo dei nostri figli, nati nell'era digitale, per i quali la dipendenza è tanto più cronica per il fatto di esistere "per nascita" stessa dell'individuo. L'articolo in questione (a firma di Paola Porciello) pone l'accento sui rischi che si corrono se, per tutta una serie di motivazioni più o meno giustificabili, si lasciano i ragazzi troppo tempo "connessi" e da soli, davanti alle varie periferiche che li collegano al ciberspazio. Che si tratti dei giovani nati nell'era digitale o degli adulti iper professionalmente connessi, stiamo sempre parlando di una droga digitale che genera dinamiche analoghe a quelle sviluppate in seguito all'assunzione di sostanze chimiche. Ciò che rende peggiore e ancor più pericolosa "questa" dipendenza, è il fatto che agisce in maniera diffusa e impercettibile, si presenta come una sorta di "scorciatoia sociale" che annulla i disagi connessi al continuum spazio-tempo, non è connessa all'uso di sostanze illegali e genera l'illusoria sensazione di "agevolare" la vita quotidiana di ognuno.

domenica 22 marzo 2015

L'equivoco del "diverso" e l'OMOfobia per legittima difesa.

Se OMOfobo è sinonimo di paura delle OMOlogazioni, viste come appiattimento culturale e azzeramento delle differenze più naturali e essenziali alla crescita umana, allora quella paura rientra nell'istinto di conservazione (e di conservazione della specie "umana", nella fattispecie), per tanto è da ritenere sana e naturale.

E' da notare che NON sono le "differenze" a fare paura. Al contrario, sono proprio le "differenze" che pongono le basi di un confronto che garantisce un ordine, un equilibrio umano e naturale volto alla più sana crescita.

La confusione più grande che sta generando strumentalmente l'ideologia gender è quella che gira intorno al concetto di "diverso":
  • servendosi di ciò che si ritiene una convizione popolare, il popolo LGBT punta il dito sul fatto che l'omosessuale viene discriminato in quanto percepito come "diverso";
  • al tempo stesso, proprio gli appartenenti al gruppo LGBT, tendono a voler stigmatizzare e rivendicare una sorta di identità sociale e culturale specifica (che, in quanto tale, diversifica se stessa), la quale ha per sfondo l'ideologia gender, supportata con tutta una serie di rivisitazioni in chiave omosessuale di tutte le teorie psicosociologice e pedagogiche;
Appare legittimo supporre che tale ideologia, stando alle forme e ai contenuti aggressivi e violenti delle varie volte nelle quali manifesta se stessa,  abbia come obiettivo la OMOlogazione della specie umana e l'azzeramento delle differenze naturali e culturali della mascolinità e della femminilità, bollate come discriminatorie.

Di più: sembra delinearsi una sorta di manifesto di una pluralità di persone che si appellano al diritto di autodeterminazione dei popoli in contrasto con "il resto del mondo" accusato di essere bigotto, ipocrita e razzista.

Se le cose stanno in questi termini, è legittimo pensare ad una minaccia sostanziale alla specie umana tale da ritenere legittima non soltanto la paura, ma anche la difesa. 


sabato 14 marzo 2015

Rai mutanda est! Parola di Matteo. Sottotitolo: un giorno tutto questo sarà mio!

fonte www.adblog.it
Appena giunta al Consiglio dei Ministri per le prime valutazioni, l'ipotesi di riforma della Rai (perché solo di ipotesi si può parlare al momento, al netto di tutti gli emendamenti che arriveranno nel corso delle diverse discussioni parlamentari) fa già tanto discutere. 
Sulla necessità di una bella e significativa riforma si è espressa la regista e sceneggiatrice Liliana Cavani, all'ADN Kronos, sottolineando però anche la necessità che «ai vertici ci siano persone che se ne intendano». 
E proprio sui "vertici" si apre la discussione, perché non pare condiviso da tutti il meccanismo delle nomine degli uomini che ricopriranno le più alte cariche. In più si apre un dubbio: i vertici che, alla Cavani maniera, dovrebbero intendersene...di che cosa si intenderanno realmente? Quali sono gli interessi in campo e chi è il "deus ex machina" che fa da regista a tutta la manovra di riordino della Rai?
Non è una sindrome da complotto che suggerisce certi dubbi, ma la considerazione per cui parliamo del servizio radio televisivo pubblico, quello che controlla, indirizza e orienta (con un indice di penetrazione elevatissimo) le informazioni, la "cultura", l'educazione, l'istruzione, i "divertimenti", i gusti, le opinioni comuni e gli interessi di milioni di cittadini Italiani. Cittadini che sono spettatori, qualche volta anche protagonisti nei casi di trasmissioni particolarmente interattive col pubblico, ma anche elettori e contribuenti da orientare e tenere a bada all'occorrenza.
Da com'è descritta da il Sole 24 Ore, questa bozza di riforma non pare niente male, sembrerebbe puntare di più sulla qualità del servizio specialmente sotto il profilo dell'informazione, che è ciò che la gente vuole sentire, visto lo scadente livello qualitativo dell'offerta che la Rai ha proposto fino ad oggi.
Sotto l'aspetto societario c'è un po' più da valutare anche se una maggiore snellezza di certo non guasta, come evidenzia Il Fatto Quotidiano. Pare sicuramente interessante (fonte il Sole 24 Ore) che almeno un membro del CDA sia eletto tra i lavoratori dell'Azienda e poi il fatto che sembra confermato in ogni caso il coinvolgimento della Conferenza Stato/Regioni, nell'esprimere le nomine.
Ciò che risulta essere troppo ingombrante, ai limiti del sospetto conflitto di interessi, è la presenza del Governo. Soprattutto la nomina dell'Amministratore Delegato fa venire i capelli dritti, perché pare sia di indiscutibile appannaggio del Governo. Sembrerebbe che da una parte Renzi (alla rottamatrice maniera) intenda fare piazza pulita di tutti i partiti che in passato si spartivano le poltrone di mamma Rai, dall'altra (come titola Il Fatto: il Governo nomina il suo ad e si prende l'Azienda), volendo nominare direttamente l'Amministratore Delegato, stia tentando di mettere a segno l'ennesimo colpo gobbo, per riuscire così a controllare in una sola volta tutta l'Azienda. Questo ha spinto l'autore televisivo Carlo Freccero (esperto di comunicazione, con un lungo passato in Rai, passando anche attraverso Mediaset) a parlare di svolta autoritaria, da parte di Matteo Renzi. E si fatica a dagli torto.
Resta ancora da sciogliere il nodo sul canone Rai che il Movimento 5 Stelle ha sempre proposto di abolire: l'idea è quella di dimezzarne l'importo e inserirlo direttamente all'interno della bolletta elettrica. Ma pare sia di difficile applicazione, a nostro avviso perché ne mancano i presupposti giustificativi.