Adesso le cose stanno
molto diversamente. La TV è cambiata, sta diventando una sorta di fossile
preistorico (con tempistiche estremamente ridotte a causa di un’accelerazione
dello sviluppo tecnologico eccessiva per la natura umana), rispetto alle potenzialità
che hanno oggi i media a disposizione di tutti. I quali arrivano a farci
sentire materialmente presenti in luoghi molto distanti, attraverso la nostra
voce e i nostri gesti che generano effetti simultaneamente altrove, dando a noi
la possibilità di constatarlo in tempo reale. Io sono qui, faccio o dico una
cosa che ha effetti dall’altro capo del mondo e, al tempo stesso, posso
verificare quanto succede.
Oggi, dunque, c’è molto
più che la TV. Pensare e agire sono diventate una cosa sola; l’esigenza attuale
è quella di essere in grado, in sessioni di comportamenti multitasking, di
pensare, agire e constatare gli effetti finali, tutto nello stesso arco di tempo.
Stiamo diventando il
medium di noi stessi, fino al punto da essere noi stessi a sostituire il
medium, modificandone la natura. Passando, cioè, dall’utilizzo di strumenti con
una funzione di collegamento, di intermediazione, ad una febbrile dipendenza da
“connessione”.
Non è più una questione
di comunicazione, ma di mero bisogno di sentirsi connessi. Con tutto e con
niente. Con tutti e con nessuno. L’esigenza non è più la relazione
con l’altro, ma la relazione con l’elemento relazionante, con la rete.
Con lo spazio virtuale. Che è tanto virtuale nella sostanza, quanto reale negli
effetti finali.
Il danno maggiore
deriva proprio dal fatto che gli effetti finali, reali e concreti, nascono in
uno spazio indefinibile, non circoscrivibile e non vivibile. Ciononostante è
uno spazio che c’è e raccoglie al suo interno le moderne sinapsi di ognuno di
noi. Questo costituisce un danno, perché genera un allontanamento dalla realtà,
simultaneamente alla sensazione opposta di padroneggiarla.
Non ci accorgiamo mai
di questo danno, finché non proviamo realmente a farci caso, perché le nostre naturali sinapsi si sono trasformate in delle “ciber-sinapsi”, letteralmente vitali, indispensabili alla vita
quotidiana.
Alla stessa maniera in
cui nessuno di noi “vede” (né sente il bisogno di vedere) materialmente lo
spazio in cui si mettono in moto le connessioni tra i propri pensieri e tra il
cervello e le proprie azioni, nessuno di noi “vede”, né sente il bisogno di
vedere lo spazio in cui si mettono in moto le proprie cibersinapsi che si concretizzano nell'utilizzo di multiconnessioni con reti informatiche e supporti elettronici. E nemmeno
sente il bisogno di osservare materialmente la dinamica con cui le proprie
ciberazioni si concretizzano, partendo dalle cibersinapsi.
È per questo che la
cosiddetta realtà virtuale non ci appare più così virtuale, ma effettivamente
realistica.
Ciò che conta, adesso,
per noi, è che le connessioni funzionino e siano soddisfacentemente veloci da
permettere di agire nel ciberspazio come desideriamo.
Naturalmente tutto ciò
si riflette in ogni ambito della nostra vita, perciò è ugualmente importante
sia per quanto concerne la nostra vita privata, sia per quanto concerne la vita
professionale e lavorativa.
E siccome nel mondo del
lavoro, tutto questo accelera il processo produttivo, la pubblicità e tutto
quanto gira intorno a realtà commerciali, punta essenzialmente sulle
cibersinapsi del proprio mercato di riferimento, non facendo altro che
rinforzare l’effetto illusorio della virtualità e i meccanismi di dipendenza da
connessione.
Siamo noi, adesso, a
rappresentare l’elemento di congiunzione tra i vari supporti elettronici che ci
permettono di far funzionare le nostre moderne sinapsi. Siamo noi ad attivare
le diverse funzioni che ci permettono di interagire con lo spazio virtualreale.
Perciò siamo diventati noi il medium di noi stessi, a patto naturalmente che i
supporti che utilizziamo funzionino.
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