L'indigeribile pesantezza
dell'essere a questo mondo sta determinando l'abuso di "scorciatoie digestive"
che, sostanzialmente, rendono l'esistenza ancora più indigesta.
Vado ad argomentare ciò che, in
una maniera sintetica e con qualche bisticcio di parole, è il senso di ciò di
cui Vi voglio parlare.
I mali più grandi delle giovani
generazioni, sono tanto devastanti quanto invisibili al primo sguardo ed accentuati
pesantemente in momenti di crisi come quello che stiamo vivendo.
Tre brevi premesse:
1. Lo
sviluppo dei processi economici produttivi ha avuto un'accelerazione impressionante,
condizionando pesantemente i ritmi di vita di ognuno di noi. E non solo i ritmi
temporali, ma anche il sistema di vita e le convinzioni culturali, che si sono
fondate sulla rapidità, sulla pianificazione, sulla necessità di prevedere e
predisporre in anticipo i propri piani di vita. Siamo obbligati alla velocità
per la natura stessa del sistema economico, che esige il più rapido consumo,
affinché ci sia un maggior quantitativo di produzione, da realizzare anch'essa
nel minor tempo possibile. La mentalità economica e produttiva che si è andata
affermando, ha soppiantato ogni metro di valutazione e di giudizio, destituendolo
di significato. Il tutto a vantaggio di un "sistema mentale" basato quasi
essenzialmente su merci di scambio intese come categorie di pensiero.
2.
I
rapporti interpersonali sono diventati completamente "funzionali",
finalizzati ad un tornaconto, di qualunque natura esso sia. La loro durata e la
loro "tenuta" sono basate sull'oggetto della relazione che, in
maggior parte, è condizionato da esigenze a corto raggio, perché inserite in un
set di bisogni prodotti dal sistema culturale ed economico vigente. E si
spengono rapidamente, non appena le nostre esigenze del momento ci risultano
soddisfatte. Salvo essere riattivate, in presenza di ulteriori e nuovi bisogni.
Questo ha reso la percezione del rapporto interpersonale come
"innaturale" e meritevole di diffidenza e sospetto, laddove dovesse
apparire come disinteressato.
3.
Con
lo sviluppo della tecnologia (sempre più low-cost - in proporzione al costo che si sopportava non più di venticinque o
trent'anni fa svolgendo le stesse funzioni che svolgiamo oggi con gli strumenti
che abbiamo - e di facile accesso) le distanze di spazio, ma anche quelle di
tempo, si sono praticamente azzerate. Questo ha generato una ubiquità personale
della quale non si riesce più a fare a meno, perché è divenuta sistemica nel
nostro modo di vivere. Per fare un esempio, è ormai impossibile fare a meno di
essere in riunione e, al tempo stesso, trasferire contenuti (immagini, testi o
suoni) con un collega di lavoro dall'altra parte del mondo, facendo in modo che
questo avvenga letteralmente all'istante. Bisogna che ci pensiate un attimo
perché Vi rendiate conto che per quanto tutto ciò sembri normale adesso, in
realtà non molto tempo fa era del tutto impossibile.
Per quanto impegno possiamo
produrre nello scansare le difficoltà che nascono da una relazione interpersonale,
non possiamo prescindere dalla nostra "natura" di esseri sociali. La
qual natura, se violata, reagisce e si ribella, cercando di ristabilire il
proprio equilibrio, spesso in maniera devastante e dolorosa.
Il danno che genera l'ubiquità tecnologica
(della quale invece crediamo di beneficiare, paradossalmente), è uno stress da
indigestione sociale. Parlo di stress perché è una difficoltà che alimenta se
stessa, rendendosi indispensabile a se stessa, contestualmente.
Mi spiego meglio:
gli strumenti tecnologici che
oggi sono alla portata di tutti, altro non sono che delle "scorciatoie
digestive" che servono ad aiutare la digestione del "disagio
relazionale" che essi stessi hanno prodotto, intervenendo all'interno
della natura della relazione e sostituendosi a tutto il processo di scambio tra
i soggetti. Sono delle protesi che si sostituiscono a qualcosa che, invece, non
manca. In natura la capacità relazionale esiste, ma mette in discussione,
costringe ad interrogarsi e a mettersi in gioco, obbliga a pensare ed espone al
rischio dell'errore e alla conseguente presa di responsabilità. Utilizzando le
protesi, tutto cambia: non più margini di errore, nessun rischio personale e
certezza del risultato, premesso che per risultato si intende l'ottenimento del
beneficio (al netto di costi il più bassi possibile) connesso all'oggetto della
relazione, di cui al punto 2 delle premesse sopra esposte.
Il vantaggio apparente che le
"protesi tecnologiche" offrono, è l'immediatezza e la rapidità di
utilizzo e di effetto ottenuto, cosa che aderisce perfettamente alle esigenze
del sistema economico attualmente vigente. In realtà non fanno che rinforzare
il danno connesso con il disagio relazionale (dovuto ad una relazione che si
realizza in tempi troppo rapidi, perciò non approfondita e maturata),
alimentando l'indigestione sociale che l'utilizzatore vorrebbe che risolvessero.
Sostanzialmente ciò che viene
azzerata è la relazione interpersonale che, oggi, se esiste lo è soltanto a
livello mediato, realizzata attraverso un mezzo che si frappone tra le persone
che entrano in relazione. A livello immediato, la relazione interpersonale non
esiste quasi più.
Logorandosi la capacità
relazionale, di conseguenza va in crisi anche la consapevolezza di sé, perché
non è più agevolata dal feedback necessario, sul piano del confronto a due o
più persone, in versione "live".
Con la crisi della consapevolezza
di sé e dell'esigenza di comunicare se stessi agli altri in maniera
"immediata" (cioè non-mediata), è connessa anche la mancanza del
bisogno introspettivo che si traduce in una disabitudine prima e, dopo, in un
evitamento sistematico, dovuto alla paura di scoprire cose di sé del tutto sconosciute.
Infine, la falsa percezione di
poter interagire senza avere il disturbo di dover gestire le difficoltà insite
in una relazione interpersonale, aggiunta alla falsa percezione di poter
realizzare qualunque cosa senza le difficoltà connesse al tempo e allo spazio
necessari, alimenta la tendenza a non voler affrontare e risolvere le difficoltà
della vita quotidiana e a servirsi invece di "scorciatoie" pronte
all'uso (e senza delle quali si innescano delle crisi di astinenza
pesantissime).
Serve riappropriarsi delle nostre
coordinate di tempo e di spazio e reimparare a confrontarci, prima di tutto con
noi stessi. Dopo con gli altri. Serve reimparare a "pensare", senza
la paura di che cosa troviamo all'interno dei nostri pensieri. Serve un cambio
di mentalità, riprogettando le nostre relazioni. Serve liberarsi dalla
schiavitù di un sistema che abbiamo realizzato e che ci ha creato una
dipendenza pericolosissima.
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