Opinioni e Prospettive

In riferimento ad alcuni articoli a sfondo sociologico (specie per quel che riguarda il campo di indagine relativo ai Mass Media), si precisa che i contenuti pubblicati NON sono da intendersi come frutto di specifiche indagini o di studi operati ad hoc (salvo quando diversamente e appositamente riportato). A tal riguardo si specifica che si tratta di semplici opinioni, basate sulla personale osservazione, nata da una prospettiva sociologica sviluppata negli anni di studio e connaturata negli interessi e nello stile di scrittura dell'autore.

sabato 30 marzo 2019

Dall'indigestione mediatica ai disabili emozionali: intercettare ed evitare gli attuali percorsi di massificazione


Ritengo valga la pena di soffermarsi su un problema che tocca la natura stessa del nostro tessuto sociale, delle relazioni che abbiamo sempre vissuto e quelle che invece viviamo oggi, un problema che potrebbe spiegare almeno in parte quello che genericamente viene riassunto con l'espressione "disagio sociale", specialmente nella prospettiva dei prossimi decenni. 
Sotto la correzione di chi studia direttamente queste problematiche, mi permetto di esprimere ciò che, per opinabile che possa essere, riassume il mio pensiero e le osservazioni empiriche del vissuto quotidiano.
L'obiettivo è cercare di capire cosa è accaduto negli ultimi anni per non prestare il fianco a ciò che a mio parere consiste in una snaturazione della soggettività umana, in favore di un processo di massificazione pericoloso.
In pochi decenni abbiamo assistito ad una accelerazione forzata della diffusione sul mercato di strumenti di comunicazione che hanno generato delle modifiche violente nelle abitudini di vita comune e nel modo di pensare delle persone. Chi questa accelerazione l'ha vissuta tutta, essendo già adulto e provenendo da un contesto sociale diverso, spesso non ha avuto la possibilità di digerirla, ha iniziato a vivere una gran confusione ed è andato in crisi. I più giovani, invece, che sono cresciuti proprio in questo periodo, hanno subìto delle pesanti interferenze (per quanto impercettibili) nei percorsi di crescita personale, subendo una menomazione di cui poco si parla: sono disabili emozionali, non sono abituati a gestire il loro aspetto emozionale, la parte profonda di se stessi dove nascono e vivono i sentimenti. Pur essendo naturalmente effervescenti a livello emotivo, è stato ridotto loro il fattore umano alla dimensione minima possibile, per ridurne l'autonomia di giudizio. 
Il tutto ha un inizio, con la diffusione di internet che prometteva grandi conquiste, le quali però nascondevano (almeno in apparenza) delle insidie enormi: 
1.      avere la possibilità di agire in un dato momento ed in una data porzione di spazio, generando effetti simultanei e tra loro anche diversi, su grandi distanze
2.      avere la possibilità di trasmettere messaggi e contenuti di varia natura a un solo individuo o a un grande pubblico, anche in modalità "in diretta", senza necessariamente essere presente di persona
3.      avere la possibilità di diffondere una immagine e un profilo di sé anche totalmente inventato, avere in altre parole la possibilità di barare nel rapporto con gli altri, di nascondersi o di nascondere solo ciò che si desidera, credendo di non poter essere smascherati
4.      avere l'illusione di non essere responsabili di azioni prodotte nel web, per il solo motivo per cui non si è stati fisicamente presenti in certi luoghi o non si è proferito di propria bocca le parole che ad altri sono arrivate
5.      avere una cognizione dello spazio come di qualcosa di non necessario, fino all'azzeramento totale della percezione della stessa dimensione, perdendo il proprio rapporto con il territorio e l'ambiente circostante
6.      avere una cognizione del tempo come di qualcosa di dominabile, pertanto non risulta più necessario agire in momenti adeguati alla circostanza, perché il web permette di ottenere gli effetti desiderati dalle nostre azioni anche per così dire "in differita". Ciò significa che destrutturiamo il tempo fino a svuotare di significato il tempo presente, riusciamo a spostare nel futuro le nostre azioni o ad anticiparne gli effetti e questo, per conseguenza, non rende tracciabile un continuum che, a posteriori, costituirebbe l'unica prova del passato. Gli esperti dicono che nel web resta sempre traccia di tutto, il problema è che il nostro cervello si abitua a pensare in maniera da non avere più memoria del passato
7.      ultimo, ma non per importanza, c'è l'effetto assuefante, il rapporto di "dipendenza" che il web genera, per il fatto che esso è l'unica riprova di ciò che accade nella vita di una persona abituata a vivere per la maggior parte del suo tempo servendosi del web.
Ci sarebbe anche dell'altro da dire, ma almeno soffermandoci su questi elementi, cosa è successo negli ultimi 30 o 40 anni e cosa sta accadendo adesso e quali saranno gli sviluppi nel futuro?
Provate a immaginare una ragazzina di una 15ina di anni, negli anni '60/'70, abituata a gestire relazioni con le persone secondo momenti e spazi ben definiti. Immaginate questa ragazzina che trova il proprio rifugio nella sua cameretta in casa propria oppure che designa un determinato luogo come nido speciale per le proprie effusioni col suo fidanzato, cose naturali e normali, che vivevano la loro storia secondo una continuità indissolubile. Adesso immaginate la stessa ragazzina, cresciuta, che ha imparato a usare gli smartphone, il computer e tutto il resto (che nel frattempo è diventata bersaglio inconsapevole delle peggiori campagne pubblicitarie che hanno diffuso i propri modelli commerciali minando l'autostima di una persona in un percorso di crescita delicato)...ecco, questa che è diventata adulta, di punto in bianco, si ritrova ritratta nelle situazioni più intime, con una diffusione la cui rapidità supera quella di un "clic", sulla bocca, negli occhi e nelle fantasie di mezzo mondo...e soprattutto senza la possibilità di bloccare il processo e di riappropriarsi della propria intimità!!! Gli effetti sono devastanti e i giornali ne hanno parlato diffusamente, sebbene in maniera incompleta.
Questo è solo un esempio, ma è ciò che accade quando, per una forma di "indigestione mediatica", non si hanno gli strumenti per padroneggiare il cambiamento e se ne finisce vittima. I nati negli anni '60/'70 non hanno avuto il tempo di gestire il cambiamento che li ha travolti, all'improvviso hanno dovuto accorgersi che erano costretti ad agire lontano dagli altri con i quali prima avevano un confronto continuo, avendo l'illusione di averceli vicini; hanno dovuto accettare l'idea di non doversi più spostare fisicamente per eseguire compiti che precedentemente li obbligavano a percorrere chilometri (e a stabilire relazioni più o meno occasionali con altre persone, ad osservare gli ambienti che attraversavano); hanno dovuto abituarsi all'idea che in una porzione di tempo in cui una volta eseguivano un numero ridotto di azioni, adesso dovevano eseguirne molte di più e, per quanto questo apparisse avvincente perché realizzabile con la promessa implicita di maggior tempo libero, hanno dovuto scoprire che a loro veniva richiesto un carico maggiore di lavoro e uno stress superiore; hanno dovuto accettare il fatto che la loro libertà era minata dalla loro reperibilità e che la loro privacy era costantemente minacciata da flussi a loro incontrollabili di informazioni sul loro conto. Per dirla alla Darwin maniera c'è stato, certo, chi è riuscito a cavalcare l'onda e ad arrivare al tempo presente senza particolari traumi, forse perché per sua fortuna aveva le caratteristiche necessarie per farlo, ma quanti oggi sono in depressione, in analisi? Quanti oggi dicono di star male e di non saperne il motivo? Quanti di questi, in realtà, semplicemente non hanno saputo digerire la destrutturazione degli spazi ai quali erano abituati e si sono sentiti defraudati di loro stessi, nudi all'improvviso o non hanno saputo reggere a tempistiche del tutto nuove che prima non conoscevano (e non mi riferisco solo a dover vivere più velocemente, ma anche a ritmi nei quali non hanno avuto più modo di ricostruire la propria memoria, il proprio passato, che prima affidavano ad altri strumenti oggi ritenuti desueti o "da sfigati" - banalmente può venire in mente il classico "diario personale")?
Chi ha superato indenne (per sua fortuna) la cosiddetta "indigestione mediatica", deve però vedersela con dei mostri non meno pericolosi e preoccupanti.
Con una espressione divenuta di largo uso, ma assolutamente indecente, si definiscono i cosiddetti "nativi digitali", ovvero coloro i quali sono nati e cresciuti nell'era digitale, quelli che noi più avanti negli anni, ingenuamente, qualche volta osserviamo anche con un pizzico di invidia, perché li osserviamo abilissimi nell'uso di oggetti che noi, una volta, nemmeno avremmo pensato potessero essere inventati.
Ecco, questi sono i soggetti sociali più preoccupanti, perché pericolosi per se stessi. Intendiamoci, qui si parla a carattere generale, non è certo detto che siano tutti uguali, ma è opportuno intercettare una tendenza, circoscriverla e avvertire dei rischi che si corrono.
Ormai hanno una 20ina di anni e tutta la loro identità ce l'hanno incasellata in uno smartphone (non è detto a caso, perché in un telefono conservano foto, musica, ricordi, progetti, idee, tutto). Questi ragazzi sono cresciuti proprio nel momento di maggior sviluppo di certe tecnologie e, nella maggior parte dei casi, le hanno adoperate con grande padronanza e se ne servono con un rapporto che definire "di dipendenza" non è affatto esagerato. Sono cresciuti in un momento storico in cui la scuola ha più o meno direttamente diffuso il concetto che non serve "sapere", serve "saper fare", perché dopo il diploma è difficile trovare un lavoro, almeno bisogna disporre di un cosiddetto "titolo finito".
Non hanno dunque sentito il bisogno di affrontare la scuola per maturare come "persone umane" (a quell'età nemmeno le penserebbero certe cose, questo è normale), né intorno a loro gli adulti li hanno resi sensibili a questo, probabilmente perché sono gli stessi che, per "indigestione mediatica", certi problemi nemmeno vogliono vederli o sentirne parlare.
Il tipo di persona di cui si parla è un soggetto abituato alla solitudine mascherata da social, uno che punta alla popolarità misurata con il numero di "like" ottenuti per i propri interventi, per i contenuti pubblicati. Si tratta di un soggetto che non è stato abituato a vivere le proprie relazioni in maniera "diretta", ma sempre attraverso uno schermo, un filtro, la qual cosa lo ha abituato all'idea di poter fingere senza alcuna possibilità di essere smascherato. è un soggetto abituato a mentire non soltanto agli altri, ma anche a se stesso, perché è il rapporto con se stesso che ha costruito sulla menzogna, secondo gli schemi imposti dalle tendenze del momento, inventando se stesso e sdoganandosi al pubblico come lui crede che il pubblico desideri che sia. Stiamo parlando di una finzione che si auto alimenta e si basa spesso sull'equivoco. Non c'è nulla di vero, di autentico, di "costruito".
Se fosse tutto qui, non sarebbe nemmeno un dramma, basterebbe dimostrare a un ragazzo cos'è davvero la realtà, provando a togliergli il telefono per un mese, per esempio. Può funzionare con quelli che in famiglia hanno avuto una educazione più mirata al rapporto umano, ma se sono casi frequenti, non sono la maggioranza. Invece nella maggior parte dei casi NON è tutto qui e l'esperimento potrebbe dimostrarsi fallimentare, se non deleterio. Questo perché, non essendo i genitori preparati a gestire il percorso di crescita del figlio in contesti come quelli recenti (in costanza di un'accelerazione di cui si parlava prima, ancora in corso, dal punto di vista della diffusione di tecnologie che destrutturano le dimensioni di tempo e di spazio), non riuscendo i genitori stessi ad affrontare una prospettiva analitica che vada oltre il superficiale, osservano al massimo che il ragazzo cresce apparentemente silenzioso e sereno, magari sbadato, poco attento alle circostanze, ma senza mostrare segni di squilibrio. Sembrerebbe una buona notizia, se non fosse che ad osservarlo più "da vicino", si inizia a notare che è un soggetto generalmente introverso, che non dimostra particolari ambizioni o passioni profonde, si mostra particolarmente attento all'aspetto esteriore (personale e dei soggetti con cui interagisce), appare particolarmente sensibile a ciò che stimola l'aspetto sensoriale, ma perde interesse quando si cerca di andare più a fondo, mostra una superficialità generale al di là della quale mostra evidentemente di non avere intenzione di andare. In famiglia si mostra riservato, tende al silenzio, salvo scatti occasionali più o meno bruschi e generalmente resta da solo a gestire una miriade di relazioni silenziose, attraverso il proprio telefono, delle quali non sente il bisogno di condividere nulla con nessun altro; questo non necessariamente per un qualche possibile rapporto conflittuale con la famiglia, ma semplicemente perché "quelle relazioni", con tutto ciò che generano, riesce a viverle solo in quel modo e non è affatto abituato al rapporto personale diretto, nemmeno con i propri familiari (né mostra interesse per provarci). Non mostra emozioni, tende a nasconderle, mostra nervosismo quando si accorge di cedere a qualcosa che emotivamente lo mette in reale discussione. Vive il proprio aspetto emotivo con forte intensità, ma si limita a livello delle sensazioni forti (che ricerca quasi spasmodicamente), dopo però non lascia sedimentare nulla dentro di sé. Non ha mai veramente cercato un rapporto con se stesso e mostra preoccupazione quando è in presenza di qualcosa che lo costringe a "leggersi dentro".
Soggetti di questo tipo mostrano una manovrabilità emotiva fortissima, non mostrano conoscenze forti e tali da mettere in discussione eventuali soggetti manovratori, pertanto sono facilmente massificabili.

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