Ritengo valga la pena di soffermarsi su un problema che tocca
la natura stessa del nostro tessuto sociale, delle relazioni che abbiamo sempre
vissuto e quelle che invece viviamo oggi, un problema che potrebbe spiegare almeno in
parte quello che genericamente viene riassunto con l'espressione "disagio
sociale", specialmente nella prospettiva dei prossimi decenni.
Sotto la correzione di chi studia direttamente queste
problematiche, mi permetto di esprimere ciò che, per opinabile che possa
essere, riassume il mio pensiero e le osservazioni empiriche del vissuto
quotidiano.
L'obiettivo è cercare di capire cosa è accaduto negli ultimi
anni per non prestare il fianco a ciò che a mio parere consiste in una
snaturazione della soggettività umana, in favore di un processo di massificazione
pericoloso.
In pochi decenni abbiamo assistito ad una accelerazione
forzata della diffusione sul mercato di strumenti di comunicazione che hanno
generato delle modifiche violente nelle abitudini di vita comune e nel modo di
pensare delle persone. Chi questa accelerazione l'ha vissuta tutta, essendo già
adulto e provenendo da un contesto sociale diverso, spesso non ha avuto la possibilità
di digerirla, ha iniziato a vivere una gran confusione ed è andato in crisi. I
più giovani, invece, che sono cresciuti proprio in questo periodo, hanno subìto
delle pesanti interferenze (per quanto impercettibili)
nei percorsi di crescita personale, subendo una menomazione di cui poco si
parla: sono disabili emozionali,
non sono abituati a gestire il loro aspetto emozionale, la parte profonda di se stessi dove nascono e vivono i sentimenti. Pur essendo naturalmente effervescenti a livello emotivo, è stato ridotto loro il fattore umano
alla dimensione minima possibile, per ridurne
l'autonomia di giudizio.
Il tutto ha un inizio, con la diffusione di internet che prometteva grandi conquiste, le quali però nascondevano (almeno in apparenza) delle insidie enormi:
Il tutto ha un inizio, con la diffusione di internet che prometteva grandi conquiste, le quali però nascondevano (almeno in apparenza) delle insidie enormi:
1.
avere
la possibilità di agire in un dato momento ed in una data porzione di spazio,
generando effetti simultanei e tra loro anche diversi, su grandi distanze
2.
avere
la possibilità di trasmettere messaggi e contenuti di varia natura a un solo
individuo o a un grande pubblico, anche in modalità "in diretta",
senza necessariamente essere presente di persona
3.
avere
la possibilità di diffondere una immagine e un profilo di sé anche totalmente
inventato, avere in altre parole la possibilità di barare nel rapporto con gli
altri, di nascondersi o di nascondere solo ciò che si desidera, credendo di non
poter essere smascherati
4.
avere
l'illusione di non essere responsabili di azioni prodotte nel web, per il solo
motivo per cui non si è stati fisicamente presenti in certi luoghi o non si è
proferito di propria bocca le parole che ad altri sono arrivate
5.
avere
una cognizione dello spazio come di qualcosa di non necessario, fino
all'azzeramento totale della percezione della stessa dimensione, perdendo il
proprio rapporto con il territorio e l'ambiente circostante
6.
avere
una cognizione del tempo come di qualcosa di dominabile, pertanto non risulta
più necessario agire in momenti adeguati alla circostanza, perché il web
permette di ottenere gli effetti desiderati dalle nostre azioni anche per così
dire "in differita". Ciò significa che destrutturiamo il tempo fino a
svuotare di significato il tempo presente,
riusciamo a spostare nel futuro
le nostre azioni o ad anticiparne gli effetti e questo, per conseguenza, non
rende tracciabile un continuum che, a posteriori, costituirebbe l'unica prova
del passato. Gli esperti
dicono che nel web resta sempre traccia di tutto, il problema è che il nostro
cervello si abitua a pensare in maniera da non avere più memoria del passato
7.
ultimo,
ma non per importanza, c'è l'effetto assuefante, il rapporto di
"dipendenza" che il web genera, per il fatto che esso è l'unica
riprova di ciò che accade nella vita di una persona abituata a vivere per la
maggior parte del suo tempo servendosi del web.
Ci sarebbe anche dell'altro da dire, ma almeno soffermandoci
su questi elementi, cosa è successo negli ultimi 30 o 40 anni e cosa sta
accadendo adesso e quali saranno gli sviluppi nel futuro?
Provate a immaginare una ragazzina di una 15ina di anni,
negli anni '60/'70, abituata a gestire relazioni con le persone secondo momenti
e spazi ben definiti. Immaginate questa ragazzina che trova il proprio rifugio
nella sua cameretta in casa propria oppure che designa un determinato luogo
come nido speciale per le proprie effusioni col suo fidanzato, cose naturali e
normali, che vivevano la loro storia secondo una continuità indissolubile.
Adesso immaginate la stessa ragazzina, cresciuta, che ha imparato a usare gli
smartphone, il computer e tutto il resto (che
nel frattempo è diventata bersaglio inconsapevole delle peggiori campagne
pubblicitarie che hanno diffuso i propri modelli commerciali minando
l'autostima di una persona in un percorso di crescita delicato)...ecco,
questa che è diventata adulta, di punto in bianco, si ritrova ritratta nelle
situazioni più intime, con una diffusione la cui rapidità supera quella di un
"clic", sulla bocca, negli occhi e nelle fantasie di mezzo mondo...e
soprattutto senza la possibilità di bloccare il processo e di riappropriarsi
della propria intimità!!! Gli effetti sono devastanti e i giornali ne hanno
parlato diffusamente, sebbene in maniera incompleta.
Questo è solo un esempio, ma è ciò che accade quando, per una
forma di "indigestione mediatica", non si hanno gli strumenti per
padroneggiare il cambiamento e se ne finisce vittima. I nati negli anni '60/'70
non hanno avuto il tempo di gestire il cambiamento che li ha travolti,
all'improvviso hanno dovuto accorgersi che erano costretti ad agire lontano
dagli altri con i quali prima avevano un confronto continuo, avendo l'illusione
di averceli vicini; hanno dovuto accettare l'idea di non doversi più spostare
fisicamente per eseguire compiti che precedentemente li obbligavano a percorrere
chilometri (e a stabilire relazioni più o
meno occasionali con altre persone, ad osservare gli ambienti che
attraversavano); hanno dovuto abituarsi all'idea che in una porzione di
tempo in cui una volta eseguivano un numero ridotto di azioni, adesso dovevano
eseguirne molte di più e, per quanto questo apparisse avvincente perché
realizzabile con la promessa implicita di maggior tempo libero, hanno dovuto
scoprire che a loro veniva richiesto un carico maggiore di lavoro e uno stress superiore;
hanno dovuto accettare il fatto che la loro libertà era minata dalla loro
reperibilità e che la loro privacy era costantemente minacciata da flussi a
loro incontrollabili di informazioni sul loro conto. Per dirla alla Darwin maniera
c'è stato, certo, chi è riuscito a cavalcare l'onda e ad arrivare al tempo presente
senza particolari traumi, forse perché per sua fortuna aveva le caratteristiche
necessarie per farlo, ma quanti oggi sono in depressione, in analisi? Quanti
oggi dicono di star male e di non saperne il motivo? Quanti di questi, in
realtà, semplicemente non hanno saputo digerire la destrutturazione degli spazi
ai quali erano abituati e si sono sentiti defraudati di loro stessi, nudi all'improvviso
o non hanno saputo reggere a tempistiche del tutto nuove che prima non conoscevano
(e non mi riferisco solo a dover vivere
più velocemente, ma anche a ritmi nei quali non hanno avuto più modo di ricostruire
la propria memoria, il proprio passato, che prima affidavano ad altri strumenti
oggi ritenuti desueti o "da sfigati" - banalmente può venire in mente
il classico "diario personale")?
Chi ha superato indenne (per
sua fortuna) la cosiddetta "indigestione mediatica", deve però vedersela
con dei mostri non meno pericolosi e preoccupanti.
Con una espressione divenuta di largo uso, ma assolutamente
indecente, si definiscono i cosiddetti "nativi digitali", ovvero
coloro i quali sono nati e cresciuti nell'era digitale, quelli che noi più
avanti negli anni, ingenuamente, qualche volta osserviamo anche con un pizzico
di invidia, perché li osserviamo abilissimi nell'uso di oggetti che noi, una
volta, nemmeno avremmo pensato potessero essere inventati.
Ecco, questi sono i soggetti sociali più preoccupanti, perché
pericolosi per se stessi. Intendiamoci, qui si parla a carattere generale, non
è certo detto che siano tutti uguali, ma è opportuno intercettare una tendenza,
circoscriverla e avvertire dei rischi che si corrono.
Ormai hanno una 20ina di anni e tutta la loro identità ce
l'hanno incasellata in uno smartphone (non
è detto a caso, perché in un telefono conservano foto, musica, ricordi, progetti,
idee, tutto). Questi ragazzi sono cresciuti proprio nel momento di maggior
sviluppo di certe tecnologie e, nella maggior parte dei casi, le hanno adoperate
con grande padronanza e se ne servono con un rapporto che definire "di dipendenza"
non è affatto esagerato. Sono cresciuti in un momento storico in cui la scuola
ha più o meno direttamente diffuso il concetto che non serve "sapere",
serve "saper fare", perché dopo il diploma è difficile trovare un lavoro,
almeno bisogna disporre di un cosiddetto "titolo finito".
Non hanno dunque sentito il bisogno di affrontare la scuola
per maturare come "persone umane" (a quell'età nemmeno le penserebbero certe cose, questo è normale),
né intorno a loro gli adulti li hanno resi sensibili a questo, probabilmente
perché sono gli stessi che, per "indigestione mediatica", certi
problemi nemmeno vogliono vederli o sentirne parlare.
Il tipo di persona di cui si parla è un soggetto abituato
alla solitudine mascherata da social, uno che punta alla popolarità misurata
con il numero di "like" ottenuti per i propri interventi, per i contenuti
pubblicati. Si tratta di un soggetto che non è stato abituato a vivere le
proprie relazioni in maniera "diretta", ma sempre attraverso uno
schermo, un filtro, la qual cosa lo ha abituato all'idea di poter fingere senza
alcuna possibilità di essere smascherato. è
un soggetto abituato a mentire non soltanto agli altri, ma anche a se stesso,
perché è il rapporto con se stesso che ha costruito sulla menzogna, secondo gli
schemi imposti dalle tendenze del momento, inventando se stesso e sdoganandosi
al pubblico come lui crede che il pubblico desideri che sia. Stiamo parlando di
una finzione che si auto alimenta e si basa spesso sull'equivoco. Non c'è nulla
di vero, di autentico, di "costruito".
Se fosse tutto qui, non sarebbe nemmeno un dramma, basterebbe
dimostrare a un ragazzo cos'è davvero la realtà, provando a togliergli il
telefono per un mese, per esempio. Può funzionare con quelli che in famiglia
hanno avuto una educazione più mirata al rapporto umano, ma se sono casi
frequenti, non sono la maggioranza. Invece nella maggior parte dei casi NON è
tutto qui e l'esperimento potrebbe dimostrarsi fallimentare, se non deleterio. Questo
perché, non essendo i genitori preparati a gestire il percorso di crescita del
figlio in contesti come quelli recenti (in
costanza di un'accelerazione di cui si parlava prima, ancora in corso, dal
punto di vista della diffusione di tecnologie che destrutturano le dimensioni
di tempo e di spazio), non riuscendo i genitori stessi ad affrontare una
prospettiva analitica che vada oltre il superficiale, osservano al massimo che il
ragazzo cresce apparentemente silenzioso e sereno, magari sbadato, poco attento
alle circostanze, ma senza mostrare segni di squilibrio. Sembrerebbe una buona
notizia, se non fosse che ad osservarlo più "da vicino", si inizia a
notare che è un soggetto generalmente introverso, che non dimostra particolari
ambizioni o passioni profonde, si mostra particolarmente attento all'aspetto esteriore
(personale e dei soggetti con cui interagisce),
appare particolarmente sensibile a ciò che stimola l'aspetto sensoriale, ma
perde interesse quando si cerca di andare più a fondo, mostra una superficialità
generale al di là della quale mostra evidentemente di non avere intenzione di
andare. In famiglia si mostra riservato, tende al silenzio, salvo scatti occasionali
più o meno bruschi e generalmente resta da solo a gestire una miriade di relazioni
silenziose, attraverso il proprio telefono, delle quali non sente il bisogno di
condividere nulla con nessun altro; questo non necessariamente per un qualche possibile
rapporto conflittuale con la famiglia, ma semplicemente perché "quelle relazioni",
con tutto ciò che generano, riesce a viverle solo in quel modo e non è affatto abituato
al rapporto personale diretto, nemmeno con i propri familiari (né mostra interesse per provarci). Non
mostra emozioni, tende a nasconderle, mostra nervosismo quando si accorge di
cedere a qualcosa che emotivamente lo mette in reale discussione. Vive il
proprio aspetto emotivo con forte intensità, ma si limita a livello delle
sensazioni forti (che ricerca quasi spasmodicamente),
dopo però non lascia sedimentare nulla dentro di sé. Non ha mai veramente cercato
un rapporto con se stesso e mostra preoccupazione quando è in presenza di
qualcosa che lo costringe a "leggersi dentro".
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